Detail of Vision of Saint Francis of Assisi, Jusepe de Ribera, 1638

venerdì 12 maggio 2017

"Tortellini mannari"




Per decretare l'iscrizione di una nuova conoscenza nella lista delle persone che vorrei uccidere o in quella delle persone con cui intrattenere rapporti amichevoli, basta di solito una sola parola: il mio nome.
Mi basta, cioè, sentire come vengo chiamata dal, diciamo, secondo o terzo giorno in poi della suddetta conoscenza. E allora:

Chi, superata una settimana di frequentazione continua, si ostina a chiamarmi col nome intero, entra nel privilegiato gruppo di persone di cui provo istintivo terrore: qualsiasi sia il tono con cui “Francesca” viene pronunciato, la parola mi rievoca nella mente scene adolescenziali di lotte madre-figlia, durante le quali la minaccia incombente sulla mia testa era segnalata proprio dall'uso del mio nome intero. Tuttora, se mi sento chiamare “Francesca”, non riesco a impedire che un lungo brivido mi strisci lungo tutta la colonna vertebrale, fino ad attraversarmi il cervello come un lampo. 


Risultato: mi rannicchio nelle ombre con lo sguardo allucinato, riflettendo su tutti i compiti di matematica a cui ho preso 4.


Consiglio: non chiamatemi così se volete che non mi nasconda dietro un muro tutte le volte che vi vedo o che vi etichetti come glaciali pezzi di merda.


- La Svizzera, in questo discorso, è costituita da tutti quelli che mi chiamano Fra. Con quello si va sul sicuro più o meno sempre. È breve, privo di implicazioni semantico-affettive destabilizzanti, e pertanto si adatta a ogni genere di rapporto interpersonale.


Risultato: mi sento inclusa in un perimetro amichevole, mantenendo tuttavia intatta la mia bolla personale.


Consiglio: se siete conoscenti, colleghi di lavoro, persone che frequento abitualmente, potete tranquillamente optare per questo economicissimo diminutivo.


- Zona rossa: Francy. In termini di vocabolario familiare, questo è il soprannome usato dalla mamma quando mi parla in una varietà di toni che vanno dallo standard all'affettuoso-pieno-di-trasporto. Implica, in generale, un notevole grado di confidenza e la condivisione di un'ampia gamma di esperienze, conoscenze, idee sul mondo, simpatie e idiosincrasie. Pertanto, se questo diminutivo viene usato da qualcuno con cui non ho tal tipo di rapporto, potrei interpretare la scelta di chiamarmi “Francy” come un tentativo da parte vostra di accaparrarvi confidenze che non vi spettano di diritto.


Risultato: sentendo violata la mia sfera personale, suggello interiormente un patto di belligeranza nei vostri confronti.


Consiglio: se non sono uscita dal vostro utero, non mi sono mai ubriacata con voi o non abbiamo ripetutamente irriso insieme la miseria umana altrui, forse è il caso di optare per il più neutro “Fra”. Potete comunque tentare la sorte: se mi state MOLTO simpatici, FORSE vi permetterò un “Francy” una tantum. Ma potreste non vivere abbastanza per raccontarlo.


C'è, in verità, anche una zona d'ombra, rappresentata da tutti i diminutivi e vezzeggiativi orrendi coniati da zie e zii durante l'infanzia. Ma, considerato il tempo che ho impiegato per scalzare tali pratiche vocative mostruose, non contribuirò in alcun modo a una loro nuova diffusione.


Comunque sia, tutto questo post nasce da una riflessione sul fatto che molte persone trovino difficile leggere i libri di autori russi a causa del loro ampio ricorso a una gran varietà di nomi, patronimici, cognomi, vezzeggiativi, diminutivi e combinazioni degli stessi per indicare la medesima persona.

Gente, il vostro ostacolo è solo mentale: dal Nord al Sud vi destreggiate tutti i giorni con l'importanza del nome e dei modi socialmente accettati di storpiarlo. Scegliere l'abbreviazione giusta per il nome di ogni persona e il tipo di rapporto che si ha con questa, nella situazione in cui l'interazione si svolge, è fondamentale per il quieto vivere civile. Un po’ come dare dello stronzo al vostro amico d'infanzia o a chi vi dà lo stipendio.

E voi? Come preferite essere chiamati?





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