Il 23 dicembre 1984 il treno Rapido 904, in viaggio da Napoli a Milano, viene colpito da una violenta esplosione mentre attraversa la galleria di San Benedetto Val di Sambro, sull’Appennino tosco-emiliano. L’ordigno, collocato sotto una carrozza di seconda classe, provoca 17 morti e oltre 200 feriti, trasformando un viaggio natalizio in una delle più gravi stragi ferroviarie della storia italiana.
In un primo momento l’attentato viene inserito nel solco della strategia della tensione e attribuito all’eversione neofascista, anche per analogie con la strage dell’Italicus del 1974 avvenuta nella stessa zona. Le indagini successive, però, fanno emergere un quadro diverso e più complesso, legato alla criminalità organizzata di stampo mafioso.
Le inchieste giudiziarie individuano come figura centrale Giuseppe “Pippo” Calò, potente esponente di Cosa Nostra e cassiere dell’organizzazione. Secondo le sentenze definitive, l’attentato viene concepito in ambito mafioso come azione di pressione e destabilizzazione nei confronti dello Stato, in un periodo segnato da forti contrasti dopo le condanne del maxiprocesso e dall’inasprimento del regime carcerario.
La strage del Rapido 904 rappresenta così un punto di svolta: un attentato che utilizza modalità tipiche del terrorismo politico ma con una chiara matrice mafiosa, segnando l’ingresso diretto di Cosa Nostra nella strategia stragista su larga scala. Un episodio che anticipa, per logica e ferocia, la stagione delle stragi degli anni Novanta e che resta uno dei simboli più drammatici dell’intreccio tra mafia, violenza e attacco alle istituzioni dello Stato.

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