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mercoledì 11 dicembre 2024

Che fine fecero i piloti kamikaze che non morirono e tornarono in patria?




Un gruppo di giovani piloti kamikaze delle Forze aeree dell'esercito giapponese che,
il 25 maggio 1945, durante la battaglia di Okinawa, danneggiarono gravemente il
cacciatorpediniere USS Braine. Tutti e cinque i piloti della foto morirono nell'azione.


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La guerra del Pacifico (太平洋戦争 - Taiheiyō Sensō), conosciuta in Giappone come grande guerra dell'Asia orientale (大東亜戦争 - Dai Tō-A Sensō), fu parte integrante della seconda guerra mondiale combattuta tra l'Impero giapponese (una delle potenze dell'Asse) e gli Alleati, principalmente gli Stati Uniti d'America e l'Impero britannico.

Siamo alla fine del 1944. Incapaci di far fronte alla massiccia produzione industriale avversaria e di capitalizzare l'entusiasmo dei movimenti indipendentisti-nazionalisti delle colonie occupate, i giapponesi decisero di opporre una resistenza ostinata adottando misure disperate.

Fu così che i comandanti aerei giapponesi proposero che i piloti trasformassero i loro aerei in bombe. L'obiettivo era di schiantarsi contro le navi da guerra e le portaerei americane distruggendole.

Questi attentatori suicidi, chiamati kamikaze, per lo più offrirono volontariamente i loro servizi per sacrificarsi e aiutare il Giappone a sconfiggere gli americani; ma sebbene i loro sforzi fossero efficaci nel danneggiare le navi statunitensi, non cambiarono le sorti della guerra. Di fatto, portarono all'uso della bomba atomica e alla resa incondizionata del Giappone.

Ma cosa sarebbe successo se un pilota kamikaze non avesse voluto dare la vita per il suo Paese? Cosa sarebbe successo se avesse cambiato idea all'ultimo momento, decidendo di tornare a casa? Oppure se avessero avuto un guasto meccanico e non fossero riusciti nella loro missione?

Ogni scenario aveva conseguenze diverse.



Pilota kamikaze della Marina col grado di tenente (Chui) riceve ordini di sortita


Il capitano della Marina giapponese Motoharu Okamura disse: "Credo fermamente che l'unico modo per far pendere la guerra a nostro favore sia ricorrere ad attacchi in picchiata con i nostri aerei... Ci saranno più che sufficienti volontari per questa possibilità di salvare il nostro paese".

Okamura cercò volontari e molti si fecero avanti. Molti piloti giapponesi consideravano un onore morire per il loro Paese. Diventarono guerrieri e furono guardati con il massimo rispetto dal Paese e dai suoi leader. 

Ricevettero il miglior trattamento, comprese le migliori razioni di cibo. Ma l'addestramento a cui dovettero sottoporsi fu rigoroso. Prima di ogni missione, questi piloti bevevano sakè e mangiavano riso prima di salire sull'aereo. Probabilmente assumevano anche altro.

Prima del decollo, gli aerei avevano il massimo carburante perché questo avrebbe creato un'esplosione più significativa. Quindi, qualsiasi voce secondo cui fu dato loro poco carburante come incentivo a non tornare a casa era falsa. Avevano a bordo anche le bombe più pesanti che si potessero trovare, il che si aggiungeva al danno.

In aria, i piloti si trasformavano in bombe umane. Ma mentre questi kamikaze furono efficaci nel danneggiare le navi americane, nel farlo persero anche i loro piloti e i loro aerei. 

Era una situazione negativa per entrambe le parti. La prima missione kamikaze avvenne il 25 ottobre 1944, nella battaglia del Golfo di Leyte.

Durante la battaglia di Okinawa, più di 1.900 piloti kamikaze furono assegnati a schiantarsi contro navi statunitensi da aprile a giugno 1945, il numero più alto di qualsiasi battaglia della guerra. Di conseguenza, più di 300 navi statunitensi furono danneggiate o affondate e circa 5.000 marinai alleati furono uccisi.



La portaerei della Marina degli Stati Uniti USS  Enterprise viene colpita da un kamikaze giapponese carico di bombe il 14 maggio 1945

Successe anche che alcuni piloti tornarono a casa. I piloti che tornavano a casa dalla missione vennero divisi in due gruppi. 

Il primo gruppo di piloti fu composto da coloro che non erano riusciti a completare la missione perché avevano avuto un problema meccanico o perché le condizioni meteorologiche avevano impedito di identificare il bersaglio. Finché potettero provare il loro ragionamento, venne loro concesso il beneficio del dubbio e non vennero puniti. La loro missione kamikaze venne riprogrammata.

In questo gruppo furono inclusi anche i piloti che non potettero portare a termine le loro missioni perché furono individuati dal nemico. Ad alcuni fu ordinato direttamente dai loro superiori di tornare a casa. 

Tuttavia, ci fu anche un gruppo di piloti che psicologicamente non riuscì a portare a termine la missione. Sebbene non venissero giustiziati per non averla completata, furono puniti, a volte anche duramente. Furono chiamati codardi e sottoposti a torture fisiche e mentali. Anche le loro famiglie subirono gravi ritorsioni. Questo valeva come incentivo a non fallire la volta successiva. 

I "codardi" vennero inseriti in squadroni per aumentare la pressione dei pari su di loro affinché svolgessero correttamente il loro compito la seconda volta. Trovandosi in uno squadrone, non avrebbero potuto volare via e sparire avendo sempre gli occhi puntati su di loro. 

Alcuni piloti si lanciarono dall'aereo prima di raggiungere l'obbiettivo. La maggior parte di questi piloti comunque perse la vita, alcuni sopravvissero e furono fatti prigionieri di guerra e rilasciati al termine delle ostilità.

Una delle più grandi false narrazioni provenienti dal Giappone è che tutti i piloti sacrificarono di propria volontà la propria vita, per diventare kamikaze molti piloti giapponesi furono costretti a offrirsi volontari senza alternative. 

Anche gli uomini che non vollero servire ricevettero un addestramento molto scarso e venne ordinato loro di trasformarsi in bombe umane, addestrati a decollare, ma non a atterrare.

Ad alcuni vennero dati incentivi e ricompense per essersi offerti volontari, mentre altri vennero minacciati di punizioni severe se si fossero rifiutati di obbedire agli ordini. Ciò includeva un duro trattamento alle loro famiglie, che in sostanza li costringeva a offrirsi volontari, per paura che i loro cari venissero uccisi. Alla fine, non avevano altra scelta che obbedire agli ordini.

Kazuo Odachi fu uno dei pochi piloti kamikaze sopravvissuti e vissuti per raccontare la storia. Nelle sue memorie, scrisse che gli ufficiali giapponesi furono accolti da un "silenzio sbalordito" quando spiegarono la missione suicida e chiesero volontari.



Kazuo Odachi

Solo dopo essere stati minacciati i "volontari" iniziarono a farsi avanti. "Siamo stati sostanzialmente convinti a suicidarci", ricorda Odachi. Kazuo Odachi fu fortunato perché molte delle sue missioni suicide vennero annullate prima del decollo o mentre era in aria. A volte non riuscirono a trovare un bersaglio, mentre altre volte il suo squadrone fu individuato e non ebbe altra scelta che tornare a casa. Poco prima della sua ultima missione, il Giappone si arrese e lui salvò la vita.

Secondo l'United States Strategic Bombing Survey, sono state tentate più di 2.500 missioni kamikaze. La maggior parte di queste nella battaglia di Okinawa. Poco meno del 20% di queste missioni ebbe successo. Mentre l'altro 80% si concluse con missioni fallite o con l'abbattimento degli aerei da parte degli USA prima che colpissero il bersaglio.





da: wikipedia e historydefined

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