Artemisia Gentileschi - Giuditta decapita Oloferne (ca.1612)

domenica 3 novembre 2013

Torino: Cesare Pavese, Hotel Roma e Rocca Cavour


Ha 42 anni Cesare quando un sabato di un agosto afoso del 1950, in una Torino semideserta, varca la soglia di questo albergo, il Roma, in Piazza Carlo Felice a Torino e prende una camera: la 43. 
Il giorno dopo, domenica 27 agosto Cesare rientra in albergo intorno alle 20 e, prima di ritirarsi, ordina al personale una tazza di tè. 
Prima che gli portino quanto ordinato ingerisce una dose letale di sonnifero, si distende sul letto e attende la morte, con dignità... con eleganza.
Quando il personale forza la porta della sua stanza la luce è accesa, Cesare giace riverso sul letto. Si è tolto le scarpe, tiene un braccio piegato sotto la testa e un piede penzola fin quasi a toccare il pavimento. 
Si è distratti d'estate, il fatto suscita sensazione solo tra amici e «gens de lettres». 
Dopo le prime notizie sui giornali della sera, bisogna attendere il martedì 29 agosto, perchè sia concesso ai quotidiani torinesi un maggiore, partecipe riconoscimento allo scrittore così intimamente legato alla vita e alla cultura della città. Insieme alle notizie sulla camera ardente allestita alla casa editrice Einaudi e sui funerali, escono gli elzeviri di Lorenzo Gigli e Arrigo Cajumi (L’Unità, che sembra tradire un certo stupefatto imbarazzo, si limita a pubblicare un vecchio testo del Pavese éngagé, Ritorno all’uomo). Ma tutti danno l’impressione di non strafare. Trovano maggior spazio, nella stessa terza pagina, reportages di non eccelsa levatura, resoconti dal Festival cinematografico di Venezia, insieme a insignificanti notizie di cronaca. Quasi a sanzionare, anche nella «bella estate», la solitudine dell’uomo Pavese, a mettere in ulteriore evidenza il senso del suo addio.  

Cesare Pavese, un suicidio annunciato il suo, e da tempo, anche se il messaggio finale risale a otto giorni prima, consegnato nel suo diario: 
«... basta un po' di coraggio... eppure donnette fragili l'hanno fatto...».

Qualche giorno dopo si svolgeranno i funerali civili senza commemorazioni. Cesare era ateo.






C’è un’arte di ricevere in faccia le sferzate del dolore, che bisogna imparare. Lasciare che ogni singolo assalto si esaurisca; un dolore fa sempre singoli assalti – lo fa per mordere piú risoluto e concentrato. E tu, mentre ha i denti piantati in un punto e inietta qui il suo acido, ricordati di mostrargli un altro punto e fartici mordere – solleverai il primo. Un vero dolore è fatto di molti pensieri; ora, di pensieri se ne pensa uno solo alla volta; sappiti barcamenare tra i molti, e riposerai successivamente i settori indolenziti. 

da "Il mestiere di vivere" di Cesare Pavese

(10 ottobre 1940)


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