Sono l'impero al limite estremo della decadenza,
Che componendo acrostici indolenti
Con stile d'oro, ove danza il languore
Del sole, guarda passare i gran Barbari bianchi.
L'anima soletta ha male al cuore di noia densa.
Vi sono laggiù, si dice, lunghe battaglie cruente.
Ah non potere, io così fiacco, dai voti così lenti,
Non volervi fiorire un po' questa esistenza!
Ah! non volervi, non potervi un poco morire!
Ah! tutto è bevuto! Batillo, la smetti di ridere?
Tutto è bevuto, mangiato! Più niente da dire!
Solo, una poesiola un po' ingenua da buttare nel fuoco,
Solo, uno schiavo un po' donnaiolo che vi trascura,
Solo, una non si sa qual noia, che vi tortura!
Il testo è uno dei più famosi del decadentismo e rappresentò uno dei punti di riferimento fondamentale per più di una generazione.
In esso trovano originale espressione alcuni atteggiamenti di fondo della sensibilità e dell'arte decadente: la capacità di un rapporto fiducioso ed attivo con la realtà, l'abbandonano ad un tedioso languore, il fascino del finire delle cose, la contemplazione della morte.
Non sfugga l'originalità di impostazione del sonetto: anzichè esprimere il suo stato d'animo in forma soggettiva, come confessione lirica Verlaine oggettivizza tutto in un quadro in quadro storico e rappresenta la decadenza dell'impero romano: ci sono invasioni e battaglie ma manca ormai la voglia di vivere e di fare storia, tutto è sentito come in una remota lontananza, nemmeno i mimi hanno ormai la forza di ridere e persino la poesia non può ridursi ad altro che ad uno sterile virtuosismo che non riesce ad esorcizzare il vuoto interiore.
commento da skuola.net
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