Francesca Woodman - Untitled, Boulder, CO, ca. 1975-78
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di: Vince Aletti su vogue.it
La giovane donna con il vestito di pizzo nero trasparente e le scarpe da ginnastica, il viso nascosto dalla macchina fotografica, è Francesca Woodman. Non ancora ventenne, appena iscritta alla Rhode Island School of Design, aveva scattato questo autoritratto senza data in un cimitero di Boulder, in Colorado; figlia di due artisti, era cresciuta nei pressi. Un bel giorno aveva dato la fotografia a un compagno di corso, George Lange, suo caro amico e talvolta, a partire dal 1976, suo collaboratore. Lange l’aveva messa in quella che chiamava «la scatola di Francesca», dove aveva riposto anche bigliettini frettolosi, lettere scritte a mano e una serie di altre fotografie e provini, materiali mai pubblicati e adesso al centro di Francesca Woodman: Portrait of a Reputation, un libro (Rizzoli/Electa) e una mostra (che aprirà il 20 settembre al MCA di Denver, Colorado), che includono anche le fotografie scattate da Lange alla Woodman. Come lui stesso spiega nell’introduzione del libro, la scatola di Francesca era rimasta chiusa per quasi quarant’anni dopo il suo suicidio, avvenuto nel 1981 a 22 anni: «Quello che c’era dentro era tanto pieno di vita che chissà, magari pensavo che aprendola la gioia sarebbe volata via, scomparendo per sempre». Ma la scintilla della Woodman sopravvive e con essa gli indizi del suo lato oscuro. Nella sua breve vita Francesca è stata straordinariamente prolifica e questa casuale capsula del tempo testimonia la sua dedizione, la sua inventività e il suo spirito contagioso. Lange la descrive come una persona fragile, complicata, ossessiva e con un talento da non credere: «Viveva la sua arte. Le somigliava fisicamente». La cosa non sorprende, visto che spesso si fotografava – «Sono sempre a mia disposizione», spiegava. Ma anche quando i soggetti erano altre ragazze, il più delle volte sembravano delle controfigure, delle proiezioni. Lavorando in posti abbandonati, cadenti o in mezzo alla natura incontaminata, la Woodman evoca un mondo onirico, spettrale, un luogo in cui lei poteva nascondersi o scomparire.
Questa immagine scattata nel cimitero è tipica del suo stile perché, avendo il viso coperto, lei si elimina dalla foto – ma nel frattempo la occupa con maggiore prepotenza del solito: io sono una macchina fotografica. Anche se in altri lavori è molto più defilata, addirittura transitoria, è sempre affascinante, con un senso della teatralità che deriva tanto da influenze vittoriane (Julia Margaret Cameron, Lady Clementina Hawarden, Lewis Carroll) quanto dai surrealisti e in particolare da Man Ray. È stato poi l’interesse per la fotografia di moda ad avvicinarla a Deborah Turbeville, la quale lavorava in ambienti altrettanto fatiscenti e tendeva, come lei, a evitare segni che riportassero alla vita moderna. La Woodman, come qualsiasi studentessa, era un groviglio di ossessioni e di influenze non del tutto assimilate e questo è particolarmente evidente nelle fotografie che compongono Portrait of a Reputation, ma la sintesi che operava era molto soggettiva e spesso convincente. Nora Burnett Abrams, nel saggio che accompagna il catalogo, riconosce l’importanza dell’archivio di Lange. Per quanto il materiale sia frammentario e casuale, «testimonia di un’artista al lavoro, dell’arte nel suo farsi, e del formarsi di un’artista». Vedere la Woodman dei primi tempi, meravigliosamente vitale e attenta, completa un’immagine che si sta ancora sviluppando.
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