Nel 2005 uno specifico e ben conosciuto muro - costruito appositamente come strumento di oppressione - inizia ad esser preso di mira da Banksy: il muro della segregazione eretto dallo Stato d’Israele nei territori palestinesi. “La Palestina è diventata il più grande carcere a cielo aperto del mondo”, sottolinea l’artista, e i suoi lavori sulle lastre di cemento che formano l’estesa barriera giocano proprio sul superamento di quella costruzione opprimente. Una lunga scala per superarla in verticale, un tratteggio con una forbice per ritagliarla come fosse carta, squarci che ne frantumano la continuità sono alcuni esempi dei murales che realizza.
Nel corso degli anni gli interventi di Banksy nell’area si ripetono e puntano a tenere i riflettori accesi sull’oppressione dello Stato israeliano: il dipinto realizzato in prossimità di un check-point a Betlemme, in cui una bambina perquisisce un soldato dopo avergli presumibilmente rotto il fucile, colpisce per il ribaltamento dei ruoli. L’obiettivo è smascherare una assurda normalità quotidiana, diretta conseguenza dell’occupazione, fatta di sistematici controlli e perquisizioni della popolazione palestinese.
da: marxismo
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