M.C. Goodwin - Death Quit

domenica 24 gennaio 2021

Kayapó




Avventurandosi nella foresta delle Amazzoni, a un certo punto, si arriva in un luogo dove non ci sono più strade, non ci sono più pascoli, non c'è altro se non foresta senza tempo, immersa nella nebbia.È il paese dei Kayapo. 

La riserva è tra le più gradi aree protette di foreste pluviale al mondo, ed è controllata da indigeni che seguono ancora uno stile di vita basato sulla sussistenza. Occupano 44 villaggi, collegati dai fiumi e dai sentieri.

I Kayapo bucano i lobi delle orecchie dei bambini come modo simbolico di espandere le capacità del bambino di comprendere il linguaggio e la dimensione sociale dell'esistenza. Il loro modo di dire "stupido" è ama kre ket: "no buco all'orecchio".

Nei villaggi Kayapo oggi ci sono degli elementi che avrebbero confuso i loro antenati, come un generatore, dei pannelli solari, e addirittura delle antenne per la TV. Alcuni indigeni guardano, in effetti, le soap opera brasiliane. Ci sono anche piccole scuole, costruite dal governo brasiliano. I più anziani, invece, non sanno né leggere né scrivere.

La pace dei villaggi è interrotta soltanto dai versi di cani e di galli, e le donne siedono all'ombra degli alberi di mango a pelare noci e a cucinare pesci avvolti in foglie. Gli uomini si avventura nella foresta, a caccia di tartarughe di terra, che costituiscono uno dei grandi approvvigionamenti di carne.




Purtroppo i Kayapo hanno una storia tormentata. In passato, sono stati vittime di persecuzioni e malattie portate dagli stranieri, e nel corso del secolo la popolazione si è ridotta drasticamente. Minatori, raccoglitori di gomma e allevatori hanno premuto instancabilmente sui confini delle loro terre. Missionari e addetti del governo hanno cercato di portare "pace", ma in realtà li hanno contagiati, senza volerlo, con morbillo e altre malattie da cui i Kayapo non avevano alcuna naturale immunità.

Ma non si arresero mai. Negli anni '80 e '90 i Kayapo condussero una battaglia politica senza precedenti, recuperando la grinta che era propria della cultura guerriera dei loro antenati. Vennero organizzate proteste, pressioni, e ci furono anche degli scontri: gli indigeni erano pronti a uccidere chiunque entrasse nelle loro terre senza permesso. Fu così che si liberarono di cercatori d'oro e ranchers abusivi.

Nella loro lotta per l'autonomia e per il controllo sulle loro terre, i capi hanno imparato il portoghese e si sono messi in contatto con le organizzazioni a difesa della conservazione. Il Capo Ropni ha addirittura viaggiato con String.

Nel 1988 la nuova Costituzione brasiliana riconobbe il diritto degli indigeni a tenere le loro terre. Ma già dall'anno successivo gli indigeni si dovettero scontrare con la costruzione del progetto delle Dighe Kararaô, sul fiume Xingu, che avrebbe allagato parte della loro terra.

Il progetto iniziale prevedeva sei dighe, ma per fortuna le proteste riuscirono a rimandare a lungo la costruzione.

Dopo decenni di studi, proteste, revisioni dei progetti, sentenze, appelli internazionali, la costruzione di due dighe (dighe Belo Monte) iniziò nel 2011.

Benché molto ridotto rispetto all'idea iniziale, questo lavoro avrà un impatto enorme sul bacino Xingu. Le stime affermano che ben 20.000 persone saranno sfollate, ma alcuni studi indipendenti parlano di numeri molto più alti. Diverse zone, inoltre, verranno prosciugate dalla diversione delle acque del fiume, mettendo a rischio moltissime specie già minacciate.




I villaggi Kayopo, tra cui quello di Ropni, hanno rifiutato grosse somme di denaro dalla Eletrobras, il consorzio statale che sta costruendo la diga. A metà marzo del 2013 vennero rifiutati ben 9 milioni, considerati "soldi sporchi".

"Abbiamo deciso che non vogliamo un singolo centesimo dei vostri sporchi soldi… Il nostro fiume non ha un prezzo, il pesce che mangiamo non ha un prezzo, e la felicità dei nostri nipoti non ha un prezzo."

Purtroppo, i lavori di costruzione del progetto Belo Monte va avanti. Auguriamoci che non ce ne siano altri. E che il Brasile sappia, in futuro, dotarsi di un presidente capace di rispettare e proteggere il grandissimo patrimonio culturale del paese. Una cosa che Bolsonaro, oggi, è pateticamente incapace di fare.





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