«La sera recitava e il giorno scriveva in casa. Fuori, Napoli ancora fumava di rovine, ma il Parco Grifeo dava un po’ di sollievo all’occhio. Dalla finestra entrava una gatta, dandogli un briciolo di distrazione dal suo lavoro tenacemente concentrato sulla scrittura. I gatti gli erano sempre piaciuti e sempre gli piaceranno: a quella dedicò una delle sue poesie più belle, “‘A gatta d’o palazzo” (1946), attribuendole se non proprio l’ispirazione, almeno qualche spinta in più nella stesura di Filumena Marturano. Lei in cambio scodellò tre gattini sul suo letto.»
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