giovedì 9 settembre 2010

guerrilla art - Banksy


Banksy:
In una gabbia Titty è trasformata in un malinconico Pierrot. Il frizzate canarino giallo disegnato dalla Warner Bros per essere l’incubo di gatto Silvestro, è rimasto senza penne. Il suo corpo nudo si dondola su una piccola altalena di ferro da cui pende una campanella. Sotto i grandi occhi che guardano leggermente verso il basso pendono due borse; le palpebre ricadono pesanti su se stesse con un ritmo lento. L’animale a parte questo è immobile, invecchiato, stanco: una scena che sembra l’incipit di un monologo teatrale, accentuata dal riflettore. Come se Titty volesse raccontarci la triste storia, il dietro le quinte di una star troppo usata dal successo. Perché è a questo che ho pensato: una Titti fumetto che diventa cartone animato, che diventa logo, sfruttata senza sosta per disegnare tazze, cartelle, diari, penne, teli da mare, magliette e l’infinita quantità di gadget a lei ispirati. E vedendola adesso personificata in un essere fisico l’ho immaginata ormai vecchia e senza energie nella sua gabbia/camerino, mentre i suoi creatori - schiere di ingegneri, designer ed esperti di marketing - sono pronti a ridipingerla di giallo e a cancellare le borse perché è di nuovo il suo turno: lo spettacolo continua… Mettendo da parte per un attimo il romanticismo e la narrativa, le interpretazioni di questa installazione sono vastissime: da una critica allo star system prodotto in scatola con tutte le sue conseguenze, fino all’uso smodato del copyright che - lo ricordo - è partito proprio nel mondo colorato dei cartoons con Topolino.
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