Jan van Eyck - Diptych Crucifixion (Right Detail)(1430-40)

giovedì 21 settembre 2017

Il ritorno di Lenin dall'esilio e le Tesi di aprile





La discussione che attraversò il partito bolscevico nell’aprile del 1917 svolse un ruolo decisivo nel corso degli avvenimenti che condussero alla Rivoluzione d’Ottobre.

Come ha scritto Trotskij, nella sua monumentale "Storia della Rivoluzione russa":

“Il 3 aprile Lenin giungeva a Pietrogrado dall’emigrazione. Solo a partire da quel momento il partito bolscevico comincia a parlare a voce alta e, quel che più conta, con la sua voce.”

Difatto fino all’arrivo di Lenin il partito bolscevico si comportava come l’ala sinistra della democrazia borghese e considerava la borghesia, l’unica classe legittimata a guidare la rivoluzione (nonostante non avesse svolto alcun ruolo nelle giornate di febbraio).

Va detto che questo atteggiamento non era condiviso da tutto il partito. 
Gli operai vedevano il governo provvisorio come un ostacolo sulla loro strada. 
Il comitato bolscevico di Vyborg (uno dei bastioni proletari di Pietrogrado) già a metà marzo aveva convocato un comizio di migliaia di operai rivendicando la presa del potere da parte dei Soviet operai e contadini. 
Ma il comitato di Pietrogrado imponeva il veto e gli operai di Vyborg si dovettero adeguare.

Il giorno dopo il suo ritorno, nella giornata del 4 aprile, Lenin si mise immediatamente al lavoro, illustrò le sue tesi a una riunione di partito. Le posizioni vennero accolte con stupore ed incredulità, come se fossero state partorite da un visionario.
Lenin il giorno dopo le mise per iscritto e chiese al giornale di pubblicarle. Si tratta delle famose "Tesi di Aprile".

Un duro confronto politico divise il partito sulle Tesi. Lenin, inizialmente isolato, riusciva nel corso della polemica a convincere i suoi compagni che in Russia le condizioni erano mature per la rivoluzione socialista. Per farlo si basò principalmente sui sentimenti più profondi della classe operaia e della base bolscevica, che era molto più rivoluzionaria dei dirigenti, a partire dal comitato di Vyborg, i marinai di Kronstadt, le cellule all’interno dell’esercito.

Ma in un primo momento al vertice, Lenin, a tal punto era isolato, che le Tesi vengono pubblicate il 7 aprile dalla Pravda solo con la sua firma, accompagnate da una nota critica della redazione (diretta da Stalin e Kamenev) che si dissociava dalle posizioni. L’8 aprile veniva pubblicato un articolo di Kamenev (I nostri disaccordi politici) che così argomentava: “per quanto riguarda lo schema generale del compagno Lenin, ci sembra inaccettabile nella misura in cui presenta come portata a termine la rivoluzione democratico-borghese e mira a una immediata trasformazione di questa rivoluzione in rivoluzione socialista.”

La quasi totalità dei dirigenti bolscevichi erano rimasti legati a un vecchio schema elaborato nel 1905, la cosiddetta Dittatura democratica degli operai e dei contadini, che considerava il proletariato russo immaturo per guidare la rivoluzione socialista, per cui la lotta contro i retaggi feudali doveva mantenersi dentro i limiti di una rivoluzione borghese. Ma la realtà, e Lenin si curava della realtà più che delle formule, si era incaricata di mostrare che la borghesia russa non aveva alcuna volontà rivoluzionaria; si trattava di una classe debole e totalmente compromessa con il potere degli zar, che fin dal febbraio, invece di mettersi alla testa della rivoluzione, cospirava con la monarchia per condurla alla sconfitta e collaborava ai preparativi per un colpo di stato reazionario.

Spettava così ai lavoratori, completare quel processo che essi stessi avevano aperto il 23 febbraio del ’17. Questo significava che oltre ai compiti classici della rivoluzione borghese (di cui il più importante era l’esproprio del latifondo e la distribuzione della terra ai contadini poveri) si dovevano affrontare anche i compiti iniziali della rivoluzione proletaria (nazionalizzazione dell’industria, del sistema bancario, dei trasporti e delle comunicazioni) ed assumere il potere statale attraverso i soviet operai e contadini.

Se il partito si fosse mantenuto sulla posizione delle “due tappe” (prima la borghesia poi in un secondo momento non meglio precisato arriverà il turno degli operai) la rivoluzione sarebbe stata sconfitta, aprendo la strada a un golpe militare, che con ogni probabilità avrebbe goduto del sostegno dei liberali e delle altre forze della borghesia russa.

I lavoratori, i contadini e i soldati rivoluzionari avrebbero pagato con un tributo di sangue gigantesco, ancora più grande di quello del febbraio, un errore politico, che solo il ritorno di Lenin in Russia riuscì ad impedire.

Lenin, grazie alla sua autorità sui dirigenti del partito e a una lotta implacabile riuscì a capovolgere la linea convincendo i suoi compagni nel giro di pochissimo tempo, al punto che all’apertura della Conferenza di aprile la battaglia era già vinta.

Nella Storia, Trotskij si domanda se la rivoluzione sarebbe risultata ugualmente vittoriosa se Lenin non fosse riuscito ad arrivare in Russia nell’aprile del ’17.

Lasciamo che sia lui stesso a rispondere: “L’arrivo di Lenin non fece che accelerare il processo. La sua influenza personale abbreviò la crisi. Ma si può dire con certezza che il partito avrebbe trovato la sua strada anche senza di lui? Non oseremmo affermarlo in nessun modo. In questi casi, il tempo è il fattore decisivo, ed è difficile consultare a posteriori l’orologio della storia. Comunque il materialismo storico non ha niente in comune con il fatalismo. La crisi che la direzione opportunista doveva inevitabilmente provocare, senza Lenin avrebbe assunto un carattere eccezionalmente acuto e prolungato, mentre le condizioni della guerra e della rivoluzione non lasciavano al partito molto tempo per l’assolvimento del suo compito. Così non è affatto da escludere che il partito disorientato e scisso avrebbe potuto lasciarsi sfuggire l’occasione rivoluzionaria favorevole per molti anni. La funzione della personalità ci appare qui con dimensioni davvero gigantesche. Si tratta solo di comprenderla esattamente, considerando il singolo individuo come un anello della catena della storia”.



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